Lettera aperta alle cittadine e ai cittadini bergamaschi

Gentili cittadine e cittadini,

domani sarà inaugurata la Torre dei Caduti che rappresenta per l’Assessore Brembilla “lo slancio verso l’alto del centro piacentiniano”, che per il Museo delle storie è “simbolo della Bergamo moderna”, ma che per noi dell’Isrec continua a rimanere un buco nero nella coscienza collettiva della nostra città.

Già al momento del primo restauro della Torre dei Caduti, promosso dalla giunta Gori nel 2015, avevamo scritto una lettera che siamo andati oggi a riprendere: un malinconico stupore ha accompagnato la constatazione che i nostri interrogativi di allora non solo rimangono ancora attuali, ma anzi sono forse diventati più cupi e impellenti, quasi rabbiosi.

Nel riproporvi la lettera del 2015 per prima cosa teniamo però a fare due precisazioni.

Da una parte, il nuovo e imponente restauro della Torre, costato 150 mila euro, ha avuto per oggetto solo l’esterno dell’edificio e non ha dato una risposta alla domanda posta al tempo del primo restauro circa la necessità che si aprisse una riflessione sulla presenza del ritratto scultoreo di Locatelli al centro del sacrario dei caduti della Prima guerra mondiale al primo piano. La promessa fatta di apporvi almeno una stele esplicativa al fianco di un busto realizzato non per quel luogo è sempre rimasta allo stato di promessa; se invece è diventata azione operativa lo sapremo solo quando l’edificio sarà riaperto, perché nel realizzarla non è stato per nulla coinvolto chi, come Isrec, aveva sollecitato quella promessa e vi aveva anche creduto.

Dall’altra parte, rispetto a quanto scritto allora è vero che è cambiato il testo di presentazione della Torre che compare sul sito del Museo delle storie, ma è altrettanto vero che il cambiamento ha sollevato in noi maggiori preoccupazioni. Leggiamo: “nel 1936, su richiesta dell’Associazione combattenti, vennero aggiunti otto bergamaschi morti in Africa Orientale, tra i quali Antonio Locatelli, ricordato anche nel ritratto scultoreo al centro della stanza, realizzato dallo scultore Giovanni Avogadri”. Il 1936 è l’anno in cui anche Bergamo e le sue rappresentanze fasciste celebrano attraverso un’attenta politica sul tessuto urbano le grandezze dell’Impero fascista e gli eroi della guerra di Etiopia, come hanno dimostrato gli studi fatti per la costruzione del sito di memoriaurbana.it. Se il nome di Locatelli entra allora nella Torre, non vi entra il suo busto, come del resto non dice nemmeno il curato giro di frase della presentazione del Museo delle storie, che dà invece per scontato quell’atto di memoria pubblica con cui a Bergamo si celebrò la guerra imperiale fascista.

In secondo luogo, il contesto della nuova inaugurazione rende il nostro interrogarci più cocente e più arrabbiato. Il 2015 era l’anno del Settantesimo della Liberazione, oggi siamo nel 2022 e, a cent’anni dalla marcia su Roma, crediamo che i cittadini e le cittadine bergamasche si meritino un confronto più franco con il fascismo e le sue imprese coloniali. Forse non ci siamo accorti a Bergamo del movimento Black Lives Matter? Forse non pensiamo che anche tra le nuove generazioni bergamasche ci sia il bisogno di fare i conti con il passato coloniale? e ci viene spontaneo pensare alle domande poste dalla Rete Adriana sul palco del 25 aprile….

Certo la Torre sarà pronta per l’anno di Bergamo Brescia capitale della cultura e il busto della Torre potrà simbolicamente riflettersi nelle luci dell’installazione appositamente pensata per Piazza della Libertà, proprio là sotto il frontone che inneggia a Antonio Locatelli “eroe della guerra e della rivoluzione”, quasi ad omaggio verrebbe da pensare maliziosamente.

Non ci si rimproveri infine come al solito di essere quelli che vogliono abbattere i monumenti: amiamo Bergamo come tutti e tutte e l’abbiamo dimostrato con la cura con cui vi abbiamo raccontato la nostra città in memoriaurbana.it. Ci si risponda invece sull’immaginario che intendiamo costruire per la nostra città e le future generazioni. Ripensiamo alla targhetta (cm 40X40) messa per le donne che sotto la Torre dei caduti manifestarono il 4 novembre 1943 e ci chiediamo e vi chiediamo: per quelle donne cosa significava celebrare il 4 novembre a nemmeno due mesi dall’occupazione tedesca era chiaro, ma per noi oggi cosa significa inaugurare il 4 novembre la Torre restaurata? Celebrare le forze armate, i caduti che la Torre consacra come eroi della Patria, Mussolini che il 27 ottobre 1924 in occasione dell’anniversario della marcia su Roma l’inaugurò, la cittadinanza onoraria che quel giorno gli fu consegnata?

Gli anni che sono passati hanno acuito il senso di inquietudine intorno a quella questione di memoria sui cui dal 2015 attendiamo un confronto aperto, se si vuole uno scontro, ma vero e chiaro.

Di seguito il testo della lettera del 2015:

Ci felicitiamo con l’Amministrazione e gli Enti che hanno investito per il recupero di un luogo storico della città, ma come Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea poniamo una questione di memoria.

Nel centro del sacrario della Prima guerra mondiale al primo piano della Torre è posto il busto di Antonio Locatelli, eseguito dallo scultore Giovanni Avogadri, acquistato dal Comune di Bergamo nel 1936 e nel 1937, dopo essere stato esposto per diversi mesi nella Sala degli Specchi, dal Podestà donato alla costruenda Casa Littoria (oggi Casa della Libertà).

Non è qui il luogo per ricostruire come all’indomani della morte di Locatelli la Bergamo fascista fu percorsa dalla smania di dedicare busti a Locatelli, che Mussolini definiva “una delle anime più pure ed intrepide del fascismo”.

Locatelli era morto a Lekemti nel 1936, in Africa Orientale, partito volontario per la guerra nel gennaio. In quella guerra, in quanto pilota, bombarda le città, già “rese inabitabili – scrive- dai gas degli aerei” e non esita a giudicare questa sua opera di sterminio “un lavoro grandissimo”, che descrive in una lettera alla madre del 23 marzo 1936: “Ho volato già 4 volte su Harrar, 5 su Gaggiga, due su Dire Daua ed ho lanciato bombe con una precisione che potrai ammirare dalle mie fotografie fatte con la Leica […]. I nemici oppongono resistenza al centro, ma li teniamo bombardati che non possono più mostrarsi alla luce del sole, saranno sgominati, sterminati e se vorranno resistere correranno il rischio di morire di fame. Sai che non possono muovere un autocarro senza che noi lo sappiamo e lo bombardiamo? Insomma un divertimento unico in barba ai nostri amici inglesi che avranno il mal di pancia a tutte le notizie delle nostre azioni travolgenti, e specialmente a sapere che sul lago Tana stanno già scolpendo nel granito una gigantesca figura del Duce”.

Nell’odio contro gli inglesi, “i porci”, e nella ferocia nel seminare la morte (“quando vedevo le bombe centrare le case, distruggere […] incendiare la cittadina in molti punti contemporaneamente, io che di solito sento un pò di pietà per il nemico, gioivo”) ritorna l’eco del fascismo rivoluzionario che aveva visto Locatelli protagonista e per cui il fascismo della normalizzazione lo aveva esiliato alla carica di podestà di Bergamo. Varrà allora la pena sottolineare che il busto della Torre dei caduti non si trova lì a sottolineare “il significato assunto [dalla Torre] all’epoca della costruzione: luogo commemorativo in onore dei caduti della Grande guerra”, come recita il sito di Bergamo nella storia [oggi Museo delle storie]. Pare piuttosto più plausibile che sia stato ricoverato lì quando Casa Littoria è diventata Casa della Libertà e, per un momento, Bergamo ha voluto mettere in soffitta la memoria di un eroe fascista (solo nel 1945 a Bergamo non si è tenuta la rituale commemorazione in occasione dell’anniversario della morte di Locatelli).

E qui sorge allora la domanda: perché nel 70° della vittoria sul nazifascismo Bergamo mette al centro del suo ricordo della Prima guerra mondiale, un eroe della rivoluzione fascista?

Possibile che non si ricordi, in modo imperituro, il significato che ha avuto quella Torre e i caduti veri delle Prima guerra mondiale, non Locatelli, nel novembre 1943, quando grazie ad alcune audaci donne bergamasche il 4 novembre si era trasformato in una protesta contro l’occupante e il suo alleato fascista, nata dal basso e che aveva per arma mazzi di crisantemi?

I luoghi raccontano la storia delle città, ma anche le loro memorie.

Ognuno in quanto cittadino è chiamato ad essere responsabile della memoria della sua città ed è per questo che chiediamo all’Amministrazione di considerare se non è giunta l’ora di fare i conti con la memoria di Locatelli, di guardare alla sua figura storica, al suo significato nella storia del fascismo nazionale e chiedersi perché continuiamo a ritenere eroe cittadino un rivoluzionario fascista, dimenticando donne come Emma Coggiola, Mimma Quarti, Bianca Artifoni, Velia Sacchi che seppero spendere la loro intelligenza, giovinezza e passione per liberarsi dalla società fascista, dalla sua violenza e dalla sua falsità. 

Guardando all’Europa viene da pensare a una donna francese ma d’origine italiane e che con donne italiane sofferse nei Lager tedeschi e con lei osare gridare: “la verità, vale a dire la trasparenza nei rapporti tra gli uomini” (Charlotte Delbo)

Isrec Bergamo

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