Belli per l’eternità

Siamo arrivati all’ultima puntata di Tra le silenziose carte, rubrica che avevamo cominciato due mesi fa convinti che, nonostante la quarantena, fosse importante mantenere un dialogo con i nostri soci e socie e con chi ci segue con attenzione e curiosità. Continuare a tessere il filo che ci lega al passato è un modo per non chiudere il presente su stesso – non chiuderci su noi stessi -, ma, articolando presente, passato e futuro, costruire la consapevolezza dell’esperienza che stiamo vivendo per immaginare quella da vivere, insieme e come collettività.

Non sarà stato un caso se in questa lunga quarantena abbiamo affrontato temi che ci hanno condotto nel vivo delle nostre ricerche e inevitabilmente portato a guardare al futuro, sollevando l’attenzione su prossime e importanti scelte che la nostra comunità dovrà compiere: che ne sarà del corridoio al primo piano del vecchio complesso di Sant’Agata, l’unico rimasto del vecchio carcere? Allestiremo una mostra, speriamo già da settembre, ma poi? Quel corridoio diventerà un museo permanente sul vecchio carcere di Sant’Agata o una nuova ristrutturazione cancellerà tutte le tracce dell’esperienze lì vissute? E il campo Utili? sarà la rugby Bergamo a trasferirsi lì come società? E come lì il ricordo di Battaggion, di Utli diventerà un modo per non dimenticare che siamo la storia di cui ci diciamo eredi, anche mentre facciamo sport?

Ma pur in quarantena abbiamo anche affrontato nodi cruciali della nostra storia su cui ci ha portato a riflettere l’attualità: è il caso di Rovetta e della fucilazione di 43 militi della Tagliamento il 28 aprile 1945, richiamato alla nostra attenzione da un necrologio apparso scandalosamente sulle pagine dell’Eco. Non è stato facile fare quello speciale e la necessità di farlo ci ha confermato nella necessità, ancora più forte forse oggi, di riaffermare un’identità collettiva consapevole delle sue radici, perché l’antifasicmo non è solo storia, ma è il progetto che ha dato un significato al nostro vivere insieme, se preferite ha ridato significato alla parola “patria” liberandola dall’aggettivo fascista, quella patria che è il paese democratico in cui viviamo.

Per finire abbiamo deciso di cogliere la proposta di alcuni amici artisti e organizzare un cabaret in memoria degli uomini e delle donne della Resistenza. Grazie a Valentina e Flavio di La Malaleche e a Stefano Kino Ferri degli Arpioni.

Era il 2009 quando per la prima volta ci lanciavamo in un cabaret, intrecciando le nostre riflessioni storiche a letture e musiche: allora non era molto comune, ma quell’inizio ha aperto un dialogo importante con alcuni artisti che sono diventati amici e amiche dell’Isrec. È proprio nel rapporto con il mondo dell’arte che anche la nostra sensibilità di storici si arricchisce e si affina per l’immaginario.

Parte prima: le storie locali, patrimonio da continuare a interrogare

La Resistenza è storia radicata localmente ma che ha una visione globale: scavare nelle storie singolari della nostra comunità significa rileggere la storia come tessuto di eventi umani, ritrovando il pulsare della vita.
Partiamo da due storie tratte da quelle che hanno attraversato l’ex-carcere di Sant’Agata e passeremo poi a Cosa rimane, canzone di La Malaleche

Gabriele Fontana: Lydia Curti e Teresa Savio

Chiara Molinero: L’assalto al carcere

La Malaleche: Cosa rimane (inedito)

Fare storia locale vuol dire anche dialogare con il territorio, non solo investigarlo, ma anche rispondere alle sue curiosità, perché la patria come diceva una partigiana sono “i nostri cari e nata la canzone che ascolterete, su sollecitazione degli amici di Stezzano con cui negli anni si è costruito un rapporto di collaborazione e che ci ha portato a lavorare su un caduto della libertà stezzanese Giuseppe Agazzi

Seconda parte: le prospettive per leggere la storia

Lettura da Charlotte Delbo, Une connaissance inutile
Voce di Stefano Kino Ferri degli Arpioni

Angelo Bendotti ha sempre messo in guardia a tutte e tutti gli storici cresciuti all’Isrec sulla necessità di imparare dalla letteratura anche per fare bene il mestiere di storici. La letteratura insegna l’arte del racconto, ma anche l’importanza della prospettiva da cui si racconta il passato in grado di non ridurre l’esperienza a riflesso di se stessa, di non irrigidirla in stereotipi confortanti.

Da una parte quindi con un brano Beppe Fenoglio, commentato da Angelo Bendotti, tocchiamo con mano la forza della letteratura, dall’altra con il ricordo di alcune partigiane, portate da Rosangela Pesenti, evochiamo la questione della prospettiva femminile.
Finiremo con Zaira di La Malaleche, canzone composta per noi e il Treno della memoria e dedicata a Frida Misul per non dimenticare che per l’Isrec lavorare sulla storia delle donne è sempre stata l’occasione di costruire percorsi obliqui per raccontare il passato.

Lettura da Beppe Fenoglio, I ventitré giorni della città di Alba
Voce di Stefano Kino Ferri degli Arpioni

Angelo Bendotti: Intorno a una parola

La Malaleche: Zaira (inedito)

Rosangela Pesenti: Voci di donne nella Resistenza

Terza parte: il tessuto della storia e l’importanza del calendario civile

Abbiamo sempre ritenuto importante festeggiare il 25 aprile senza dimenticare l’8 settembre; lavoriamo ogni anno per il 27 gennaio restando guardinghi rispetto alle mode memoriali e sapendo che non ha senso pensare ai Lager dimenticando il progetto nazifascista per il futuro dell’Europa di fronte al quale gli uomini e le donne della Resistenza si sono ribellati. Crediamo insomma non basti cantare Bella ciao senza conoscere il Canto dei deportati, che ricordiamolo nacque nel 1933 in uno dei primissimi campi di internamento per dissidenti politici tedeschi e da lì attraversò la Spagna, durante la guerra civile, e poi ritornò nell’universo concentrazionario, esprimendo quel desiderio di “PRIMAVERA” che sappiamo echeggiare in molti pezzi scritti o durante la Resistenza, per esempio Fischia il vento, o ripensando a quella primavera del 1945. Ascolteremo Il Canto dei deportati nella versione di La Malaleche e la primavera lì evocata ci spingerà a ricordare, attraverso Lia Martini, la nostra cara Charlotte Delbo.

La Malaleche: Il canto dei deportati

Lia Martini: Charlotte Delbo

Quarta parte: l’eredità della Resistenza

Ci piace dirci “eredi” e non “figli e figlie” della Resistenza: perché “eredi” sottolinea la scelta del passato di cui vogliamo prenderci cura, che vogliamo imparare a raccontare a chi nasce e a chi arriva in questo paese, a cui vogliamo pensare quando immaginiamo il nostro futuro, quando pensiamo alle sfide da passarci di generazione in generazione e che intendiamo prendere in mano per rendere più bello, accogliente e giusto il mondo che viviamo, per noi e per quelli che verranno. La memoria è sempre una scelta del passato da ricordare, ma anche un’indicazione per il futuro che immaginiamo. E allora ascoltiamo le parole di un partigiano che divenne poi storico, Claudio Pavone e nella scia di queste parole Luciana Bramati, e salutiamoci con una canzone che porta il significativo titolo Memoria Viva.

da Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza

Luciana Bramati: A trent’anni dalla pubblicazione del libro di Pavone

La Malaleche: Memoria viva

Un cabaret in memoria delle donne e degli uomini della Resistenza
a cura di Isrec Bergamo con la partecipazione di La Malaleche e Stefano Kino Ferri degli Arpioni

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