Verso “Se quei muri potessero parlare”: ogni domenica, una storia sui social

Iniziate a segnarvi una data: l’11 dicembre, dalle ore 18, presenteremo “Se quei muri potessero parlare”all’EXSA – Ex Carcere di Sant’Agata Bergamo. Fino ad allora, ogni domenica vi raccontiamo in breve una storia transitata dalle celle del carcere di Sant’Agata. Potete seguire – anche senza registrarvi – questo appuntamento sui profili social dell’Isrec, in particolare su Facebook e Instagram.

Per completezza, riporteremo le uscite in ordine cronologico su questa pagina del sito.

Giulio Fiocchi

⛓️ Prigionia: dal 13.10.1943 al 3.6.1945

🗂️ Fonte: la signora Maria Teresa, figlia di Giulio Fiocchi, ricevette da sua mamma le lettere del padre scritte durante la prigionia. Per merito di Maria Teresa e di sua figlia Caterina entriamo in possesso di questa fonte autobiografica, verso una ricerca ancora più ampia, insieme al MAITE – Bergamo Alta Social Club.
Per descrivere i sentimenti durante la detenzione di Fiocchi, Maria Teresa usa queste parole: «Angoscia, speranza, disperazione, coraggio».

🔑 Biografia: Giulio Fiocchi, quarto di otto figli, nasce a Lecco, il 23/11/1891, da Giulio (industriale) e da Giuseppina Cantù. Nel 1934 sposa Franca Origoni.
Il 13 ottobre 1943 viene arrestato alla curva prima di Bellagio «da due ufficiali tedeschi in borghese e una bieca figura di fascista che in auto mi portano a Bergamo». È accusato di «antifascismo», di aver fornito «armi e munizioni e denaro ai partigiani delle montagne del lecchese» e di «partecipazione alla guerra partigiana in Grigna», di «assistenza ai ribelli».
Viene trattenuto al Collegio Baroni e poi nel carcere di Sant’Agata. Fino al 4 novembre, durante il periodo degli interrogatori, è in cella d’isolamento, senza riscaldamento e senza vetri; non viene però torturato.
Il 10 novembre Giulio scrive nel suo diario: «proc. al tribunale di guerra…Sono condannato a tre anni». Il 22 dicembre del ‘43 scrive:
«S.Agata scuola / Dopo pranzo, improvvisamente mi passano in una cella superiore con tre preti. Brumana, Ceresole e Corti. / Domattina si parte per Verona, / Odore di deportazione in Germania».
Fiocchi rientrò a Lecco il 1° giugno 1945 dopo 19 mesi di prigionia — 16 dei quali trascorsi nel penitenziario di Kaisheim in Germania.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Iniziate a segnarvi una data: l’#11dicembre presenteremo all’ExSA “Se quei muri potessero parlare”. Fino ad allora, ogni domenica vi raccontiamo in breve una storia transitata dalle celle del carcere di Sant’Agata. Cominciamo, e non potrebbe essere altrimenti, da: GIULIO FIOCCHI ⛓️ Prigionia: dal 13.10.1943 al 3.6.1945 🗂️ Fonte: la signora Maria Teresa, figlia di Giulio Fiocchi, ricevette da sua mamma le lettere del padre scritte durante la prigionia. Per merito di Maria Teresa e di sua figlia Caterina entriamo in possesso di questa fonte autobiografica, verso una ricerca ancora più ampia, insieme a @maite_bergamo_alta_social_club. Per descrivere i sentimenti durante la detenzione di Fiocchi, Maria Teresa usa queste parole: «Angoscia, speranza, disperazione, coraggio». 🔑 Biografia: Giulio Fiocchi, quarto di otto figli, nasce a Lecco, il 23/11/1891, da Giulio (industriale) e da Giuseppina Cantù. Nel 1934 sposa Franca Origoni. Il 13 ottobre 1943 viene arrestato alla curva prima di Bellagio «da due ufficiali tedeschi in borghese e una bieca figura di fascista che in auto mi portano a Bergamo». È accusato di «antifascismo», di aver fornito «armi e munizioni e denaro ai partigiani delle montagne del lecchese» e di «partecipazione alla guerra partigiana in Grigna», di «assistenza ai ribelli». Viene trattenuto al Collegio Baroni e poi nel carcere di Sant’Agata. Fino al 4 novembre, durante il periodo degli interrogatori, è in cella d’isolamento, senza riscaldamento e senza vetri; non viene però torturato. Il 10 novembre Giulio scrive nel suo diario: «proc. al tribunale di guerra…Sono condannato a tre anni». Il 22 dicembre del ‘43 scrive: «S.Agata scuola / Dopo pranzo, improvvisamente mi passano in una cella superiore con tre preti. Brumana, Ceresole e Corti. / Domattina si parte per Verona, / Odore di deportazione in Germania». Fiocchi rientrò a Lecco il 1° giugno 1945 dopo 19 mesi di prigionia — 16 dei quali trascorsi nel penitenziario di Kaisheim in Germania. #Bergamo #storiacontemporanea #glocal #WWII

Un post condiviso da Isrec Bergamo (@isrecbg) in data:

La banda «Maresana»

Nel 1943, Giovanni Ferrari, Angelo Stefanoni e Carlo Togni progettarono di assaltarlo, il carcere di Sant’Agata

🗂️ Fonti: Schede partigiane e relazioni componenti banda, dall’archivio (esplorato) dell’Isrec

🔑 Storia: III° gruppo della Banda Maresana, composta – oltre ai tre – da Madini Alfredo, Rossi Aldo, Cani Giovanni (sic.), dai fratelli Piazzalunga, e capitanata da Filippo Benassi e Adriana Locatelli (da qui il nome «Banda Locatelli-Benassi»). Ferrari, Stefanoni, Madini, Rossi e Togni progettarono un assalto al carcere giudiziario Sant’Agata e al collegio Baroni, allora sede della Feldgendarmerie germanica, a partire da dicembre 1943 per la liberazione dei detenuti politici imprigionati.

Dalla relazione di Giovanni: «Per primo ho avuto il compagno Licini Luigi, che per essere preciso mi fece avere la planimetria delle carceri di Sant’Agata, che serviva per il piano di liberazione di tutti i politici. Col Benassi ci trovammo più volte in casa mia, ed al cimitero dove era possibile, perché sempre si dubitava di essere pedinati. Mi fecero conoscere la Signora Andriana Locatelli e con lei la Baronessa Valenti, quando un giorno, non ricordo la data, il capitano Benassi mi incaricò d’andare da questa per ritirare la planimetria della caserma delle S.S. germaniche al collegio Baroni, in via Pignolo, […]»

«Verso la fine di dicembre il capitano venne presentato da Adriana (Locatelli, n.d.r.) alla Baronessa Valenti, dove conobbe una certa Bossi, la quale si dichiarava pronta ad aiutare […] —testimoniò Carla Fusi (Lalla) —. In quei giorni era in programma la liberazione dei detenuti politici di Sant’Agata e di questo se ne fece allusione alla Bossi la quale entusiasta di tale progetto, prometteva aiuto in armi, ed all’uopo fissò un appuntamento in casa sua, per gli opportuni accordi, e la consegna dei piani planimetrici».

⛓️La Bossi si rivelò poi una spia: denunciata l’attività antifascista di costoro, i componenti della Banda furono arrestati e tradotti a Sant’Agata, scontando ognuno la pena detentiva: Ferrari (13 mesi), Stefanoni (13 mesi), Madini (43 giorni), Rossi (50 giorni), Togni (4 mesi, da ottobre ‘44), Cani (39 giorni), come Adriana Locatelli, suo padre e sua sorella.

Abbiamo sempre detto che la Resistenza acquista una nuova forza se riletta nella scia della parola amicizia. La prossima settimana vi racconteremo la storia di Adriana Locatelli che, con gli uomini evocati, oggi ha dato corpo alla Banda Maresana.

 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Nel 1943, Giovanni Ferrari, Angelo Stefanoni e Carlo Togni progettarono di assaltarlo, il carcere di Sant’Agata 🗂️ Fonti: Schede partigiane e relazioni dall’archivio (esplorato) dell’Isrec 🔑 Storia: III° gruppo della Banda Maresana, composta – oltre ai tre – da Madini A., Rossi A., Cani G., dai fratelli Piazzalunga, e capitanata da Filippo Benassi e Adriana Locatelli (da qui il nome «Banda Locatelli-Benassi»). Progettarono un assalto al carcere giudiziario Sant’Agata e al collegio Baroni, allora sede della Feldgendarmerie germanica, a partire da dicembre 1943 per la liberazione dei detenuti politici imprigionati. Dalla relazione di Giovanni: «Per primo ho avuto il compagno Licini Luigi, che per essere preciso mi fece avere la planimetria delle carceri di Sant’Agata, che serviva per il piano di liberazione di tutti i politici. Col Benassi ci trovammo più volte in casa mia, ed al cimitero dove era possibile, perché sempre si dubitava di essere pedinati. Mi fecero conoscere la Signora Andriana Locatelli e con lei la Baronessa Valenti […]» «Verso la fine di dicembre il capitano venne presentato da Adriana (Locatelli, n.d.r.) alla Baronessa Valenti, dove conobbe una certa Bossi, la quale si dichiarava pronta ad aiutare […] —testimoniò Carla Fusi (Lalla) —. In quei giorni era in programma la liberazione dei detenuti politici di Sant’Agata e di questo se ne fece allusione alla Bossi la quale entusiasta di tale progetto, prometteva aiuto in armi». ⛓️La Bossi si rivelò poi una spia: denunciata l’attività antifascista di costoro, i componenti della Banda furono arrestati e tradotti a Sant’Agata, scontando ognuno la pena detentiva: Ferrari (13 mesi), Stefanoni (13 mesi), Madini (43 giorni), Rossi (50 giorni), Togni (4 mesi, da ottobre ‘44), Cani (39 giorni), come Adriana Locatelli, suo padre e sua sorella. Abbiamo sempre detto che la #Resistenza acquista una nuova forza se riletta nella scia della parola amicizia. La prossima settimana vi racconteremo la storia di Adriana Locatelli che, con gli uomini evocati, oggi ha dato corpo alla Banda Maresana

Un post condiviso da Isrec Bergamo (@isrecbg) in data:

Adriana Locatelli

🗂️ Fonte: dall’archivio Isrec ci spostiamo in biblioteca e troviamo “Diario di una patriota”

🔑 Biografia: arriviamo alla storia di Adriana nella scia della parola «amicizia». Adriana non ha ancora venti anni quando scoppia la guerra e il suo impegno per la #Resistenza ha l’energia e lo slancio della giovinezza. Nella sua famiglia la tradizione risorgimentale è un’eredità che si coltiva e la religione cattolica un modo di essere al di là delle apparenze: l’Italia fascista non è più l’Italia che è uscita dal Risorgimento avviando un lento processo democratico: è una dittatura che separa cittadini di serie A e B, usa la violenza come strumento politico, perseguita chi non si adegua, chi è diverso e con la Germania nazista collabora per un’Europa «pura» , di tutti uguali, che sfrutta il lavoro altrui.

Adriana è tra quelle e quelli che dopo l’8 settembre a un futuro ancora fascista per l’Italia dicono «No», impegnandosi in prima persona per un mondo diverso. Ai militari sbandati e a quelli alleati che i nazifascisti braccano per deportare in Germania Adriana dà il proprio aiuto organizzando quello che lei stessa definirà «un campeggio vero e proprio di soldati sparsi intorno alla Maresana». In contatto attraverso Tulli con il CLN in formazione, è tramite Livio Mondini che inizia a collaborare con Filippo Benassi, con cui organizza la banda della #Maresana.

⛓️ Oggi vogliamo sottolineare nel gesto di Adriana la volontà di prendersi cura, di sottrarre alla violenza i militari ricercati dai nazifascisti: un ufficiale inglese ferito bussa alla sua porta ed è così – ricorderà Adriana – che inizia la sua attività nella Resistenza. Prendersi cura di un corpo braccato e bisognoso di tutto è un gesto politico: accredita la Resistenza agli occhi degli alleati, mette in discussione la legge nazifascista obbligando a cercare dentro di sé il confine tra giusto e ingiusto. E proprio sul suo corpo Adriana misurerà, durante gli interrogatori al Baroni prima e a Sant’Agata poi, la violenza nazifascista e, nelle celle, il significato del prendersi cura dell’altro. Il corpo di Adriana fortemente offeso dopo le torture è soccorso dalle sue compagne, protetto dall’attenzione del maresciallo Acanfora e dei suoi collaboratori e dalla sollecitudine di Pietro Leidi, preso in cura dal dott. Spartaco Minelli contro l’indifferenza del medico del carcere dott. Gualteroni che, con la complicità del capoguardia Fusaglia, «volutamente» la trascura rischiando di farla morire.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Mancano due domeniche e poi l’#11dicembre tutt* a scoprire il progetto sul Carcere di #SantAgata. Prima però un’anteprima al CSC di Borgo Palazzo, il 9 dicembre, con un laboratorio per bambini! Questa domenica non può non avere come voce narrate che quella di ADRIANA LOCATELLI 🗂️Fonte: Archivio e biblioteca Isrec, con “Diario di una patriota” 🔑Biografia, nella scia della parola «amicizia»: Adriana non ha ancora 20 anni quando scoppia la guerra e il suo impegno per la #Resistenza ha l’energia della giovinezza. Nella sua famiglia la tradizione risorgimentale è un’eredità che si coltiva e la religione cattolica un modo di essere: l’Italia fascista non è più l’Italia che è uscita dal Risorgimento avviando un lento processo democratico: è una dittatura che separa cittadini di serie A e B, usa la violenza come strumento politico, perseguita chi non si adegua, chi è diverso, e collabora con la Germania nazista. Adriana è tra coloro che dopo l’8 settembre a un futuro ancora fascista dicono «No», impegnandosi in prima persona per un mondo diverso. Ai militari sbandati e a quelli alleati che i nazifascisti braccano per deportare in Germania Adriana dà il proprio aiuto organizzando quello che lei stessa definirà «un campeggio vero e proprio di soldati sparsi intorno alla Maresana». In contatto attraverso Tulli con il CLN, tramite Livio Mondini inizia a collaborare con Filippo Benassi, con cui organizza la banda della #Maresana. ⛓️Oggi vogliamo sottolineare nel gesto di Adriana la volontà di prendersi cura, di sottrarre alla violenza i militari ricercati dai nazifascisti: un ufficiale inglese ferito bussa alla sua porta ed è così – ricorderà Adriana – che inizia la sua attività nella Resistenza. È un gesto politico: accredita la Resistenza agli occhi degli alleati, mette in discussione la legge nazifascista obbligando a cercare dentro di sé il confine tra giusto e ingiusto. E proprio sul suo corpo Adriana misurerà, durante gli interrogatori al Baroni prima e a Sant’Agata poi, la violenza nazifascista e, nelle celle, il significato del prendersi cura dell’altro. Il corpo di Adriana fortemente offeso dopo le torture è soccorso dalle sue compagne,

Un post condiviso da Isrec Bergamo (@isrecbg) in data:

Aldo Battaggion

🗂️Fonti: La storia di Aldo ci insegna l’importanza dell’intreccio degli archivi: da quelli pubblici a quelli privati. Molti ricordi e documenti aspettano ancora di essere condivisi: grazie a chi vorrà farlo con noi. E Grazie di cuore alla casa circondariale di Bergamo, alla sua direttrice e al suo personale: abbiamo individuato l’archivio dell’ex carcere che per la prima volta sarà sottoposto a un attento esame!

🔑 Biografia: Aldo è stato partigiano e deportato, tra coloro che rischiarono se stessi per tessere le prime reti in grado di dare corpo alla #Resistenza, con coraggio e ponderazione. Ed è qui una delle eredità importanti della Resistenza: sapere analizzare il proprio presente e investirsi in prima persona con intelligenza e immaginazione del futuro.

La storia di Aldo ci obbliga a muoverci da #Bergamo a #Zambla passando per #Milano, a riscoprire quella che oggi è Casa della Libertà come luogo di repressione e tortura, pensare al filo rosso che lega Sant’Agata a Dachau.

Alla fine della guerra Aldo dirà: «Secondo il mio modesto parere, io al rugby devo la vita […] sono tornato vivo perché ero un giocatore di rugby. Come mentalità, come acutezza sportiva il rugby aiuta a dare resistenza all’individuo […] non solo fisicamente: dà molto mentalmente. Il giocatore di rugby intanto è generalmente un coraggioso. È un ponderatore. Io giocavo come mediano di mischia…» (intervista rilasciata a Stefano Rosa e Marco Parisi)

Attivo intorno al passo di Zambla, legato a Poldo Gasparotto e a GL a Milano attraverso il cognato Cesare Bonino, Aldo è spesso in azione con Pasqualino Carrara e Vanni Quilici, sulla mitica macchina soprannominata Genoveffa in onore della proprietaria dell’albergo Drago Rosso di Oltre il Colle, riparo sicuro per partigiani e braccati. Recuperano armi e vestiario per la Resistenza bergamasca in formazione: sono spericolati, ma attenti a non mettere in pericolo i compagni.

⛓️Nella notte del 15 gennaio ‘44 durante il rastrellamento al roccolo Gasparotto, Aldo pur potendolo non cerca la propria salvezza, ma raggiunge il gruppo comunista di Dante Paci. Saranno circondanti, presi e portati a Bergamo in Federazione: Dante e Aldo pesantemente torturati, vivranno Sant’Agata insieme fino alla fucilazione di Dante (22.7.44). La memoria redatta da Aldo per Dante è la testimonianza della capacità degli uomini della Resistenza di avere fatto squadra, anche e soprattutto tra sensibilità diverse per un’Italia libera dal fascismo.

Aldo ci lancia una sfida: non dimenticare lo sport nello studio della storia. È così che quest’anno per il #TrenodellaMemoria per Auschwitz di Cgil, Cisl, Uil stiamo lavorando sul tema dello sport e abbiamo aperto un dialogo con la Rugby Bergamo.

L’ex carcere di Sant’Agata con le sue storie appartiene a tutti e a tutte e forte sia l’impegno di tutt* per preservarlo come bene comune della nostra città.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Ultima domenica prima dell’#11dicembre dove vi aspettiamo dalle ore 18 all’ex carcere di #SantAgata per presentare “Se quei muri potessero parlare”. Vi presentiamo ALDO BATTAGGION • 🗂️Fonti: Intreccio di archivi pubblici e privati. Alla casa circondariale, abbiamo individuato l’archivio dell’ex carcere • 🔑 Biografia: Aldo è partigiano e deportato, tra coloro che rischiano se stessi per tessere le prime reti della #Resistenza. La sua storia ci conduce da #Bergamo a #Zambla e #Milano, a riscoprire quella che oggi è Casa della Libertà come luogo di repressione e tortura, il filo rosso che lega Sant’Agata a Dachau. • Dopo la guerra dirà: «Sono tornato vivo perché ero un giocatore di rugby. Come mentalità, come acutezza sportiva il rugby aiuta a dare resistenza all’individuo […] non solo fisicamente: dà molto mentalmente. Il giocatore di rubgy intanto è generalmente un coraggioso. È un ponderatore. Io giocavo come mediano di mischia…» Attivo al passo di Zambla, legato a Poldo Gasparotto e a GL attraverso il cognato Cesare Bonino, Aldo è spesso in azione con Pasqualino Carrara e Vanni Quilici, sulla mitica macchina soprannominata Genoveffa in onore della proprietaria dell’albergo Drago Rosso di Oltre il Colle, riparo sicuro per partigiani e braccati. Recuperano armi e vestiario per la Resistenza in formazione: spericolati, ma attenti a non mettere in pericolo i compagni. ⛓️Nella notte del 15 gennaio ‘44 durante il rastrellamento al roccolo Gasparotto, Aldo non cerca la salvezza, ma raggiunge il gruppo comunista di Dante Paci. Circondanti e portati a Bergamo: Dante e Aldo pesantemente torturati, vivranno Sant’Agata insieme fino alla fucilazione di Dante (22.7.44). La memoria redatta da Aldo è la testimonianza della capacità degli uomini della Resistenza d’avere fatto squadra, tra sensibilità diverse per un’Italia libera dal fascismo. Aldo ci lancia una sfida: non dimenticare lo sport nello studio della storia. È così che quest’anno per il #TrenodellaMemoria per Auschwitz stiamo lavorando con la Rugby Bergamo. L’ex carcere di Sant’Agata con le sue storie appartiene a tutti e a tutte e forte sia l’impegno di tutt* per preservarlo come bene comune della nostra città

Un post condiviso da Isrec Bergamo (@isrecbg) in data:

Continua...
loading